E' adatto a bambini e adulti, appassionati di libri e lettori sporadici, e soprattutto è una storia per tutti coloro che amano sognare e non hanno paura di usare la fantasia.
Ecco 𝟱 buoni 𝗺𝗼𝘁𝗶𝘃𝗶 𝗽𝗲𝗿 𝗹𝗲𝗴𝗴𝗲𝗿e il romanzo:
1. Primo capitolo - L'addio
Non saprei in quale altro modo definire questa storia, che eppure deve cominciare, se non chiamandola temporalesca. Lo è stata sotto ogni punto di vista, anche letteralmente, e per iniziare il racconto partirò dalla notte di bufera in cui abbiamo lasciato per sempre la nostra vecchia casa.
Il vetro della finestra rifletteva i lampi spasmodici che singhiozzavano nel cielo blu sporco, seguiti con il dovuto ritardo da rombi che mi facevano sussultare. Ero chiuso nella camera buia, con i miei quattro fratelli, sveglio a leggere sotto le coperte uno dei tanti libri che tenevo sul comodino.
Ad ogni tuono giravo di scatto la testa verso la finestra e sentivo la torcia tremarmi fra le mani. Sembrava che il cielo si stesse divertendo a materializzare la sua violenza per scuotere la terra; possibile che fossi l'unico in casa ad accorgersi che i muri tremavano? Forse era perché gli altri di solito non restavano svegli fino a notte fonda per leggere.
Il cielo e i suoi segreti mi avevano sempre affascinato, ma quella notte non c'era nemmeno una stella a consolare l'oscurità e il buio faceva paura persino a me. In fondo, avevo solo otto anni.
L’unica luce era quella livida e tagliente dei lampi, che continuavano silenziosi a colpire la finestra.
Spensi la torcia e tirai la testa fuori dalle coperte, puntando gli occhi al vetro: aveva cominciato a piovere, gocce fitte e delicate e poi sempre più pesanti.
Ecco, luce viola; la paura arrivò dopo, assieme al frastuono che scosse la casa. Mi tappai le orecchie e chiusi gli occhi con forza, ma non basta ignorare qualcosa per evitare che accada. Socchiusi con cautela le palpebre e vidi che la pioggia si stava mangiando il muro mentre entrava dai vetri rotti della finestra. Il fulmine era caduto in giardino e aveva colpito il capanno degli attrezzi di fianco alla casa.
-James!
La voce di mio fratello più grande, Toby, arrivò dall'ombra.
-Lenny, Sam Rick!
Un lampo gli illuminò il volto preoccupato, intento ad assolvere al suo ruolo di primogenito assicurandosi che noialtri stessimo bene.
Ancora tuoni, prima ovattati e poi fragorosi come bombe, quasi che volessero illudere di non essere tanto vicini.
-Mamma, mamma!- strillò Richard dal letto accanto a me, svegliandosi di soprassalto. Il suo piccolo cuoricino doveva battere all'impazzata, impressionabile com'era, a dispetto del re di cui portava il nome.
-Sta' calmo Rick, ci sono qui io- lo tranquillizzò Toby, mentre si alzava per controllare i danni alla finestra.
-Ragazzi? Che succede?- Mi girai verso il letto di Lenny, il secondo dei miei fratelli; si guardò attorno e quando realizzò che l'acqua stava entrando nella stanza emise un “Oh” impensierito: -E' proprio una bufera in piena regola.
-No no, è solo un temporale,- ribatté Toby -vieni a darmi una mano con questi vetri, piuttosto.
Quando Lenny gli fu vicino però, lo sentii bisbigliare: -Non spaventare i piccoli- e il fratello roteò gli occhi.
Io ero ancora a sedere nel letto, con le coperte fino al mento, e guardavo fisso il cielo, ancor più nitido ora che la finestra era stata spazzata via. Quindi, fui l'unico a percepire l’arrivo del secondo fulmine, ma ero così paralizzato che non riuscii ad aprir bocca. Comunque, non penso sarebbe servito a molto.
Ci fu la luce, che stavolta fu tutt'uno con il tuono e ci tolse ogni preavviso, Sentii esplodere il petto e mi strinsi le ginocchia con le braccia per evitare che il cuore scappasse fuori; quando cessò il rimbombo nelle orecchie, mi accorsi che tutta la casa tremava, forte, troppo forte. Non riuscivo a muovermi e mi riscossi solo quando Toby si precipitò ad afferrarmi, tirandomi via di peso dal letto, mentre la pioggia e il vento entravano con prepotenza infilandosi sotto i vestiti e buttando all'aria ogni cosa.
In braccio a mio fratello, vidi i muri tremare mentre la forza della tempesta vi disegnava lunghe linee irregolari.
-Tobias! Leonard! Samuel! Richard! James!
La voce disperata della mamma sovrastava quella del vento, mentre ci cercava attraverso il caos che stava scuotendo la casa.
Il mio nome è l'ultima cosa che ricordo, perché nell'istante in cui il babbo aprì la porta della camera un altro fulmine si schiantò su di noi, il soffitto crollò e un pezzo mi colpì ad una tempia. Il resto me l'hanno raccontato poi: siamo riusciti ad uscire dalla casa che crollava, io svenuto in braccio a Toby, Lenny che stringeva Rick, ancora ammutolito, e Sam per mano alla mamma; il babbo ci faceva largo cercando di proteggerci dalle macerie e dalla pioggia.
Quando ripresi i sensi eravamo nel giardino, in piedi davanti a quella che era stata la nostra casa. A guardarla così, da fuori, sembrava quasi surreale: il grande muro bianco della facciata anteriore era crollato, spezzato in due dalla furia del fulmine che si era abbattuto sul tetto.
Ricordo che guardai in alto, verso mio padre: a vedere la sua faccia bagnata di pioggia, mi accorsi che le gocce che gli cadevano dagli occhi erano lacrime, nascoste, ma terribilmente vere. Mio padre è sempre stato un uomo duro, uno tutto d'un pezzo, uno che non può permettersi di piangere nemmeno quando la sua casa gli si sta disfacendo davanti; eppure, quelle lacrime c'erano.
La pioggia continuava a cadere, impietosa, e noi continuavamo a stare lì, impietriti. Vedevamo piccole fiamme dibattersi dove fino ad un’ora prima c'era la soffitta, soffocate e alimentate allo stesso tempo dall'acqua e dal vento.
Non riuscivo nemmeno a piangere; ne avrei avuto di tempo in abbondanza nei mesi seguenti, pensando a tutto ciò che lasciavo lì dentro, ma adesso volevo solo che quello spettacolo deprimente finisse.
Non so cosa abbia causato il temporale, quel giorno. Potrei dire che è stato il clima, il fato o un caso, ma non lo so, non lo sapevo nemmeno allora, quando ancora doveva cominciare tutto.
Mentre ci allontanavamo dalla casa avevo ancora negli occhi le fiamme che bruciavano in mezzo alla pioggia.
2. Ultimo capitolo - La scelta:
Non so con quale autocontrollo riuscii a rientrare in casa come se niente fosse, fingendo un sorriso che poteva a malapena nascondere la rabbia. Ero furioso e impotente e questo mi faceva ancor più male. Non bastava che nessuno mi credesse, adesso volevano pure distruggere quella che per loro era solo un'illusione, senza sapere che per me significava tutto.
Ma in fondo, non potevano capire se non ci avevano mai davvero provato. Aveva ragione Lucy, finché il loro cuore si fosse rifiutato di ammettere la sua esistenza, ogni mio tentativo sarebbe stato vano; per questo, negli anni, le assidue spiegazioni si erano trasformate in annunci sporadici, fino ad esplodere solo quando non ce la facevo più.
Adesso però, dovevano credermi. Per forza. Non volevo andarmene dalla villa e l'unico modo era riuscire a mostrar loro la ragione per cui desideravo restare.
Entrai nel salotto e li vidi lì, seduti sul divano, a leggere e cucire. Era una visione così normale, così comune. Li chiamai: -Mamma, babbo, vorrei che veniste in camera mia, appena potete. Devo parlarvi di una cosa.
Il babbo alzò gli occhi dal giornale e mi guardò scettico: -Non sarà mica...-. Io feci per ribattere ma la mamma gli posò una mano sul braccio, sussurrando di darmi fiducia. Certo, fiducia: cos'altro?
-Va bene- concluse mio padre, -andiamo.
Salimmo al secondo piano e sulle scale c'era Lenny, così dissi anche a lui che volevo parlargli. Il suo viso sempre pronto a scherzare diventò più serio, ma notai che continuava a sorridere: un modo come un altro per non affrontare la verità, quand'è scomoda.
-Potresti andare a chiamare gli altri, per favore?- aggiunsi. -Vorrei anche loro.
Leonard mi lanciò un'occhiata carica come una nube e annuì senza dire nulla.
In realtà il discorso fu breve: quando me li trovai davanti, pronti ad ascoltare, sbottai e come al solito le mie parole vennero fraintese.
Non starò a ripetere la catena di esclamazioni esasperate che la mia famiglia tirò fuori anche quella volta, ma ricordo bene che dentro di me si era creato come un vuoto, un buco nero che allontanava tutto il resto; smisi di sentire ciò che dicevano, smisi di urlare, smisi di percepire il vento che entrava dalla finestra.
Mi voltai e lei era lì, dietro di me e mi sorrideva. Vederla mi rese così sollevato che sul momento non realizzai nemmeno cosa poteva succedere, ma poi mi riscossi e la indicai agli altri. -E' lì!- urlai. -Eccola, la vedete?!
-Cosa? Cosa mai dovremmo vedere, James?
-Non c'è niente.
Il loro sconcerto era riflesso sul mio volto. Non era possibile, non era possibile. Lasciai cadere le braccia lungo i fianchi, inermi. La stanza mi sembrava improvvisamente così piccola, avevo bisogno d'aria.
Avvertii la sua presenza e mi voltai di nuovo: fluttuava fuori dalla finestra, con una mano tesa verso di me. Non tentai nemmeno di dirlo a loro, tanto sarebbe stato inutile.
Come in un sogno, mi avvicinai a lei. -Lucy- sussurrai.
-Vieni- rispose, con una voce calda che non mi aspettavo, mentre indietreggiava verso il noce.
E la seguii.
Trovarono il corpo sotto l'albero, disteso come se si fosse addormentato lì e dovesse svegliarsi da un momento all'altro. La guancia poggiava morbida sull'erba e ciuffi di capelli scuri cadevano sugli occhi ormai chiusi.
Quando, alla fine, trovarono la forza di voltarlo, qualcosa d'argento baluginò sul suo petto e fu Tobias il primo ad allungare una mano per capire cosa fosse. Dal collo di James pendeva una sottile catenella alla quale era attaccato un medaglione, color della luna, con una strana incisione. Le mani delicate di Tobias sfiorarono il ciondolo, cercando di tremare il meno possibile.
Quando lo aprì, dapprima non sembrava ci fosse niente di strano: su un lato videro il ritratto in bianco e nero di una giovane donna, con lunghi capelli.
Dall'altro minuscolo oblò, invece, li fissava il volto sorridente di un ragazzo. Trasalirono, e non solo a causa del vento che s'era alzato all'improvviso.
Dal ramo più alto del noce una piccola foglia tremò, incerta, e si staccò; cadde volteggiando in spirali disordinate e scelse di posarsi sul corpo sdraiato sotto di lei.
Nel punto in cui un tempo era stata attaccata all'albero, stava già nascendo nuova vita.
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