Buongiorno cari lettori, eccoci a un'altra tappa della rubrica "La vostra voce" , un'idea nata in collaborazione con il blog Un tè con la Palma, per dare voce e spazio ai vostri scritti.
La veletta le sfiorava la fronte e i tacchi sprofondavano nella ghiaia grigia facendola barcollare e infuriare. Ma chi diavolo aveva pensato alla ghiaia per quel merdoso cimitero? Chi andava con le scarpe da ginnastica a un funerale? Oltre al fatto che la polvere vi si era già depositata, facendole diventare grigiastre e opache.
Il dolore alle anche era insopportabile e quel movimento ondeggiante sul terreno impervio peggiorava la cosa non di poco.
Se solo avesse potuto scegliere, lo avrebbe fatto tumulare al San Thomas, ma la sua famiglia era tutta sepolta lì e sua sorella, quella rompicoglioni, aveva fatto il diavolo a quattro perché quella consuetudine continuasse anche con il fratello. Come se gliene fosse fregato qualcosa di lui. Non erano mai andati d’accordo sul serio, anche se si frequentavano assiduamente, ma apriti cielo a mettere ossa, pelle e un po’ di carne in un buco che non fosse il cimitero di famiglia.
Fanculo.
Avesse potuto l’avrebbe strozzata con le sue stesse mani. Peccato non avere più la forza fisica per farlo, e a settant’anni era più che normale non averla.
“Ti lascio il posto d’onore”, le aveva detto quando era arrivato il carro funebre. Bel posto. Avrebbe volentieri lasciato quell’onore a lei, pensò guardando il cognato che camminava a passetti svelti accanto a quella strega di sua moglie.
2
«Esco un momento,» disse a sua figlia.
«Vuoi che venga con te?» chiese lei preoccupata.
«No, resta qui a controllare che tua zia non rubi lo scopino del cesso,» rispose abbozzando un sorriso e sfiorandole quei capelli rossi e setosi.
Il giardino era il regno di James. Lei non aveva il pollice verde, non aveva pazienza e non si era mai voluta occupare di ciò che c’era all’esterno della casa. Per lei una pianta era una creatura capace di nascere, crescere e dare frutti in perfetta autonomia, perché perdere del tempo dunque?
Il giorno in cui tutto era finito, James aveva approfittato di un pomeriggio senza pioggia per fare qualche lavoretto tra quelle piante rigogliose e piene di piccoli fiori pronti a esplodere come colorati fuochi d’artificio.
Era uno spettacolo il loro giardino.
Mia si soffermò sul cespuglio di rose, l’ultimo argomento di James, l’ultima cosa che aveva guardato, di cui aveva parlato, che le aveva mostrato.
3
«Io non conosco nessun Terence…» disse sicura.
Ma poi il suo pensiero ritrovò un ricordo e quel ricordo la risucchiò in una vita che aveva dimenticato tanto tempo prima. Subdolo, ignobile, miserabile nano!
«Aiutami,» disse porgendo le mani alla figlia e sforzandosi di rimettersi in piedi.
Se quello che la stava aspettando era davvero Terence avrebbe almeno avuto qualcuno su cui sfogare tutta la rabbia che le stava crescendo nel petto a dismisura.
Ma come si permetteva di piombare lì dopo… quanti anni? Trenta? E il giorno del funerale di suo marito!
Roba da folli!
Doveva ricordarsi di prendere qualcosa da tirargli dietro prima di arrivare alla porta.
Attraversò tutta la casa con il passo di un militare e arrivò all’ingresso con l’ombrello ben saldo tra le mani. Non avrebbe fatto grossi danni, ma almeno avrebbe reso bene l’idea di quanto era gradita quella visita inaspettata.
Ma quando arrivò alla porta, ad aspettarla non c’era nessuno. Solo un pacchetto con carta da regalo argentata, un grosso e pomposo fiocco blu e una busta posata sopra.
Mia soffiò fuori tutta la rabbia accumulata e lanciò l’ombrello in un angolo.
Peccato, non avrebbe potuto sfogarsi.
La seduta durò un’ora e mezza nella quale Mia si dedicò a sfogliare riviste da mentecatti con foto di semisconosciute mezze nude e vip con cui flirtavano. Venne anche a conoscenza del fatto che una certa Marlene Cordell soffriva di stipsi cronica… e che Olga Nadder faceva sesso almeno tre volte al giorno…
Doveva ricordarsi di portare un libro per le volte successive. Lo diceva sempre e poi puntualmente lo scordava, cadendo in balia di quelle pagine piene di stupidaggini e culi nudi.
Claire faceva volteggiare le braccia, elegante e precisa, districandosi tra phon, spazzola, forcine. Aveva sempre ammirato la grazia con cui si muoveva, facendo sembrare quelle operazioni una specie di danza capace di ipnotizzarla.
«Domani ha appuntamento Katie,» le disse prima di spruzzarle un po’ di lacca riparandole la fronte con una mano.
«Sì, me lo ha detto,» rispose Mia annuendo.
«Et voilà! Sei un amore!» le disse facendo due passi indietro e porgendole lo specchio per potersi ammirare la nuca.
Mia si osservò con sguardo critico.
Certo… un amore per essere una vecchia di settant’anni.
5
«Mamma!»
«Tua figlia!»
«Vattene! Presto! Va via!» lo cacciò lei spingendolo.
«Oh cazzo… non può vedermi così! E ora come faccio?» si domandò completamente nel panico.
«Niente panico! Chiuditi in bagno e dille che stai facendo la doccia e che la richiami più tardi.»
«Non conosci mia figlia! Non se ne andrà mai così facilmente. No, serve una scusa plausibile. Nascondiamoci! Le lascio un bigliettino dove le dico che sono uscita e che rientro nel pomeriggio. Avrò tempo di pensare a qualcosa… forse…»
«Ma non è un po’ strano lasciare un bigliettino in camera da letto?»
«Non lo lascerò in camera da letto! Sciocco che non sei altro! Ora tu esci dal balcone e mentre lei sale metti il bigliettino sul frigo. Quando non mi troverà di sopra andrà di certo a guardare lì, sperando che non lo abbia già fatto. Vai! Io mi nascondo sotto al letto,» disse risoluta, porgendogli un pezzo di carta dove aveva scarabocchiato in fretta e furia una frase per sua figlia.
Era una situazione surreale. Si stava nascondendo da sua figlia come un’adolescente appena beccata in flagrante con il fidanzatino liceale.
Mentre era rintanata sotto il letto, tra i gomitoli di polvere che si ripromise di togliere entro la giornata e che le facevano pizzicare il naso, pregò di non essere colta da una crisi di starnuti. Osservò i piedi di sua figlia fare capolino e fermarsi di fronte al letto disfatto.
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